Spegnere 100 candeline non è più un traguardo irraggiungibile, anzi, sarà sempre più probabile stando alle recenti statistiche. Secondo gli ultimi dati Istat (al primo gennaio 2024), si contano 22.552 centenari residenti in Italia, in crescita del 30% rispetto a soli dieci anni fa. In aumento anche gli ultracentenari, gli anziani con almeno 105 anni di età, che a inizio 2024 erano ben 844. Numeri che pongono l’Italia tra i paesi più longevi al mondo. Bella notizia, che però diventa un po’ meno bella se si guarda sotto la lente della pensione. Il rischio per i futuri centenari è infatti quello di percepire un assegno da fame, che renderebbe difficile accedere alle cure mediche necessarie o alle opportunità di svago e mantenere lo stesso tenore di vita con la tranquillità economica per affrontare gli imprevisti.

 

Nella corsa verso il traguardo dei cento anni, il reddito pensionistico rappresenta una variabile importante per garantire agli anziani una vita serena e dignitosa. Per farsi un’idea indicativa, la società di consulenza Moneyfarm ha calcolato a partire dall’assegno pensionistico quanto costerebbe arrivare alla veneranda età dei 100. Premesso che l’obiettivo dell’indagine, dal titolo provocatorio “Chi vuol essere centenario?”, è dimostrare quanto sia importante pianificare per tempo gli anni della pensione, i calcoli fanno riflettere.

 

Vivere fino a 105 anni potrebbe costare fino a 560.880 euro

Il primo calcolo riguarda un lavoratore dipendente con uno stipendio netto di 2.000 euro al mese, destinato ad andare in pensione a 64 anni nel 2030 con il 64% del proprio reddito da lavoro dipendente (in base al tasso di sostituzione indicato dalle statistiche della Ragioneria dello Stato). Ebbene, il suo assegno pensionistico ammonterà a circa 1.280 euro, circa 720 euro in meno rispetto alla sua attuale busta paga. Di fronte alla prospettiva di un’attesa di vita pari a 85 anni, il capitale necessario per integrare la pensione pubblica al 100% della retribuzione da lavoro dipendente sarebbe pari a 181.440 euro, ma salirebbe a 354.240 euro qualora si raggiungessero i 105 anni.

La situazione è ancora più critica per i lavoratori autonomi che, sempre considerando uno stipendio netto di 2.000 euro al mese e l’ingresso in pensione a 64 anni nel 2030, potrebbero contare su un tasso di sostituzione pari al 43% del proprio fatturato e, dunque, su un assegno pensionistico di soli 860 euro, con una necessità di integrazione mensile pari a 1140 euro. Di fronte alla prospettiva di un’attesa di vita pari a 85 anni, il capitale necessario per integrare la pensione pubblica al 100% della retribuzione da lavoro autonomo sarebbe pari a 287.280 euro, ma salirebbe a 560.880 euro qualora si raggiungessero i 105 anni.

Calcoli che potrebbero essere più pesanti per una donna, considerando non solo la sua probabile discontinuità lavorativa ma anche la sua maggiore longevità, con un “gender gap” di circa quattro anni in più rispetto agli uomini in termini di attesa di vita alla nascita. Non è un caso, infatti, che ben l’83% dei centenari italiani è donna.

“Oggi la pensione non è più solo un traguardo, ma un lungo viaggio che può durare anche quarant’anni. Pianificare per tempo, integrando il sempre più esiguo assegno pensionistico pubblico con una forma di previdenza complementare, non è solo una scelta responsabile, ma un investimento sulla qualità della propria vita futura”, ha commentato Andrea Rocchetti, Global Head of Investment Advisory di Moneyfarm. Perché vivere a lungo dovrebbe essere una gioia e una conquista, non una preoccupazione economica.

 

Valeria Panigada